Delta Blues

Ted Gioia, “Delta Blues”, EDT/Siena Jazz, pp. 504.

Un tuffo nel blues più profondo; o meglio, una traversata intensa e appassionata compiuta in quel vasto e variegato panorama musicale che, nel corso dell’ultimo secolo, ha abitato una delle zone più depresse degli Stati Uniti. Questa è l’impressione che possiamo raccogliere scorrendo le pagine di questo denso lavoro di Ted Gioia, un’indagine approfondita e documentata che scandaglia in profondità quel Delta del Mississippi che appartiene a un immaginario ormai condiviso, ma non sempre messo a fuoco nella prospettiva più efficace.

Sappiamo come la storia del blues affondi le proprie radici in un contesto di povertà estrema e di lotta per la sopravvivenza. I suoi primi protagonisti sono state figure di cui si sa poco o nulla, artisti provenienti dalle zone poverissime del Delta ritratti in registrazioni sul campo a partire dagli anni Venti del Novecento. Ma sappiamo anche che, col passare del tempo, il blues è divenuto un genere musicale conosciuto e diffuso a livello globale.

In questo contesto, il critico statunitense ha affrontato questo percorso di ricerca mettendo in un certo senso in discussione la sua prospettiva di storico della musica di matrice afroamericana. Conosciamo infatti Ted Gioia come uno dei più interessanti studiosi e storici di musica jazz, autore di testi quali, tra gli altri, “Gli standard del jazz” (2015).

Lo stesso studioso, nel corso dello sviluppo di questo lavoro di indagine, ha annotato come «tutte le mie idee sulla musica sembravano a questo punto in crisi, sottoposte a una continua revisione. Dopo aver suonato il pianoforte per diversi decenni, iniziare a studiare gli strumenti tradizionali del Delta. Ripresi in mano l’armonica […]. Durante un viaggio nel Delta mi procurai un diddley bow, lo strumento a una corda con cui avevano cominciato molti chitarristi di blues, e iniziai a suonarlo con una lama di coltello […]». È su queste basi che si svolge il viaggio di Gioia nel mondo del blues, un percorso appassionante – anche grazie all’attenta traduzione italiana di Francesco Martinelli, a sua volta studioso e docente ai corsi di Siena Jazz – grazie al quale l’autore traccia gli undici densi capitoli, completati da un utile apparto di note, glossario, ascolti e letture consigliate, consegnandoci così la storia di un genere che ha fecondato gran parte delle musiche venute dopo. (© Gazzetta di Parma)