“What What”, l’affiatamento di Sgobbio e Vernizzi

Pericopes, «What What», Unit Records 2018, 1 CD.

La lunga e affiatata frequentazione di Alessandro Sgobbio (pianoforte) ed Emiliano Vernizzi (sax) produce di tanto in tanto frutti discografici declinati delle varianti del loro duo denominato Pericopes il quale, nella dimensione del trio, diviene Pericopes+1, dove appare anche il batterista Nick Wight. Se in quest’ultima metamorfosi lo spazio interpretativo viene distribuito con rodata vitalità tra i tre componenti (si veda il recente disco “Legacy”, pubblicato lo scorso anno dall’etichetta Auand), è nel dialogo a due che i musicisti parmigiani – ma ormai costantemente impegnati in peregrinazioni all’estero – ritrovano lo spazio per uno scavo creativo che pone al centro una ricerca stilistica inesausta. Un bell’esempio in questo senso è rappresentato da “What What”, ultimo lavoro discografico pubblicato dalla svizzera Unit Records che restituisce la fantasia compositiva di questo duo attraverso un progetto musicale che coinvolge per la varietà del materiale plasmato attraverso i nove brani che compongono il percorso di ascolto. In composizioni come “La Danse Des Holothuries”, che apre l’album, o ancora nel brano eponimo, il pianismo di Sgobbio ha modo di esprimere una plastica espressività, dove il dinamismo ritmico incanalato in intensi andamenti ostinati si arricchisce di variazioni armoniche dal disegno originale e variegato. Un carattere che viene assecondato con naturale affinità dal sax di Vernizzi, grazie a un gusto melodico arricchito dal colore timbrico segnato da una matura consapevolezza, capace di attraversare lo spazio sonoro ora con interventi affilati ora con tratteggi eloquenti. Dialoghi che restituiscono una materia musicale le cui radici affondano in una miscela di generi che uniscono reminiscenze del primo Novecento europeo – in un brano come “Cocteau”, per esempio – a tracce stilistiche che rimandano sia a profumi minimalisti, sia a fugaci tentazioni free (“Martyrlied”) per toccare infine orizzonti di certo jazz nordico, come nelle atmosfere più decantate di “Tzukiji”. Un lavoro intenso, da ascoltare e riascoltare. (© Gazzetta di Parma)