100 anni dalla nascita di Charlie Parker

Il 29 agosto 1920 nasceva Charlie Parker, uno dei più importanti musicisti del Novecento e, assieme, una delle personalità più iconiche del suo tempo. Appare evidente come il suo apporto artistico nell’ambito della storia del jazz (e non solo) sia stato fondamentale, ma altrettanto indubbia si staglia la sua figura di personaggio irrisolto e controverso.

Chi ha visto “Bird”, film del 1988 prodotto e diretto da Clint Eastwood, conserva nella memoria la figura del personaggio interpretato da Forest Whitaker combattuto e lacerato tra il genio musicale da un lato – che si manifesta come un dono affidato al suo sax, strumento percorso da un rivoluzionario afflato interpretativo – e dall’altro da un carattere segnato da una sostanza umana fragile, arresa alla dipendenza di alcool e droga.

D’altro canto, chi ha letto “Il persecutore” (titolo originale “El perseguidor”) di Julio Cortázar ricorderà, invece, un profilo differente, come annota Carlo Boccadoro nella prefazione all’edizione italiana del testo dello scrittore argentino pubblicata da Einaudi: «Il Charlie Parker che appare in questo racconto è totalmente diverso dal personaggio piagnucoloso e intimamente sconfitto che si vede nel film di Clint Eastwood, “Bird”. Sia nei momenti di lucidità sia in quelli dove la sua mente è posseduta da una rabbiosa follia nei confronti del mondo che lo circonda, egli rimane comunque un gigantesco propulsore di energia, un combattente che si rifiuta di soccombere alle mille difficoltà che la vita gli presenta davanti; vuole provare tutto, conoscere tutto, mangiare, fumare e bere di tutto».

Parker ha maturato le prime esperienze in ambito musicale a Kansas City, sua città natale, dove, secondo un racconto di Studs Terkel, «a quattordici anni entrò nella sezione locale del sindacato musicisti neri, facendo credere di averne diciotto, l’età minima. Con il sax sottobraccio non gli era difficile intrufolarsi nei locali notturni e nei bar passando dall’ingresso degli artisti. Spesso mentre aspettava nel vicolo laterale, rosicchiava le cosce di pollo che comprava nel chiosco vicino. Forse per questo un musicista più vecchio lo soprannominò “Yardbird”, uccello da cortile, pollastro. Il soprannome, generalmente abbreviato in “Bird”, gli è rimasto per sempre».

Poco importa se la genesi del soprannome sia davvero quella evocata da Terkel, resta il fatto che Bird rimane un’icona di quella fondamentale stagione della musica di origine afroamericana denominata “bedop”. Un’icona rimasta tale anche dopo la morte, sopraggiunta nel 1955 a liberare un corpo che, fiaccato da una vita troppo dura e sregolata, dimostrava vent’anni in più rispetto alla sua età reale, almeno stando al giudizio del medico che ne constatò la dipartita.

A proposito del ruolo di Bird nello sviluppo del bebop, Franco Fayenz nel suo libro “I grandi del jazz”, pubblicato da Nuova Accademia Editrice a sei anni dalla morte del sassofonista, evidenzia come «il contributo di Charlie Parker a tutto questo movimento è basilare. Descrivere il modo di fraseggiare adottato dal “bebop”, le figurazioni melodiche, il tentativo di ridurre il senso tonale, significa descrivere soprattutto l’andamento imprevedibile degli assoli di Parker. La sua sonorità si è fatta decisamente tesa, spastica, soffocata e rappresa, eppure bruciante come un grido. Così lo ritroviamo nel 1944, e meglio ancora negli anni successivi: non si saprebbe immaginare una personificazione più perfetta del mondo del nuovo jazz».

Bird nella sua intensa e bruciante carriera ha condiviso il palcoscenico dei club e le sale degli studi di registrazione con artisti che hanno segnato il proprio tempo e quello successivo: Dizzy Gillespie, Art Blakey, Dexter Gordon, Fats Navarro, Sarah Vaughan, Miles Davis, Howard McGhee, Red Rodney, Fats Navarro, Kenny Dorham, J. J. Johnson, Trummy Young, Lucky Thompson, Milt Jackson, Bud Powell, John Lewis, Red Garland, Oscar Pettiford, Red Callender, Ray Brown, Charles Mingus, Curley Russell, Max Roach, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Fra i brani più rilevanti composti da Parker possiamo ricordare “Ko-Ko”, “Ornithology”, “Warmin’Up a Riff”, “Billie’s Bounce”, “Blues for Alice”, “Bird of Paradise”, “Now’s the Time”, “Bluebird”, “Barbados”, “Buzzy”, “Parker’s Mood”.

Oltre a queste e altre pietre miliari, entrate possiamo dire fin dalla loro apparizione a far parte del repertorio degli standard immorali del jazz, ricordiamo ancora due titoli: “Confirmation” – a proposito del quale Ted Gioia evidenzia come sia «stupefacente come un brano possa suonare così altamente strutturato e allo stesso tempo spontaneo» – e “Klaunstance”, registrato a Detroit nel dicembre del 1947, con Miles Davis alla tromba, Duke Jordan al piano, Tommy Potter al basso e Max Roach alla batteria. Qui il sax di Bird pare prendere davvero il volo verso orizzonti espressivi che hanno a che fare con linguaggi futuri, dando senso plastico e compiuto alle parole del protagonista del racconto di Cortázar, una citazione inevitabile quanto necessaria: «questo lo sto suonando domani». (© Gazzetta di Parma)