Bella ciao

Jacopo Tomatis, «Bella ciao», il Saggiatore 2024, 240 pp.

Nella manciata di giorni che legano idealmente le ricorrenze del 25 aprile e del 1 maggio, la lettura di questo recente libro di Jacopo Tomatis può rappresentare una interessante occasione di approfondimento su una canzone come “Bella ciao”, divenuta nel corso dei decenni – e a seconda dei contesti in cui è stata impiegata o evocata – simbolo, inno, bandiera, pretesto, strumento di propaganda e tormentone nazional-popolare.

Tradizionalmente intonata nelle manifestazioni di piazza del 25 aprile e spesso variamente rievocata nel “concertone” del 1 maggio, come anticipa il sottotitolo di questo volume “Bella ciao” in realtà è anche uno spettacolo e un disco, oltre naturalmente ad essere la nota canzone “popolare”, termine quest’ultimo dall’ambivalente significato politico-ideologico e discografico-commerciale.

Ed è proprio da questo presupposto che Tomatis – con la curiosa passione del giornalista militante e la sistematica dovizia di fonti e riferimenti documentari del ricercatore accademico – sviluppa l’impianto di una indagine che ricostruisce la genesi di questo brano ormai diffuso in tutto il mondo, tratteggiando differenze e punti di contatto e continuità delle tre declinazioni.

Da brano simbolo della Resistenza partigiana, “Bella ciao” diviene quindi il titolo di uno spettacolo di “canzoni popolari italiane” di Roberto Leydi e Filippo Crivelli, presentato nel 1964 alla settima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto e salutato da una significativa eco di polemiche, spettacolo poi confluito nell’LP del Nuovo Canzoniere Italiano, dando un contributo determinate alla diffusione della stessa canzone.

Ma l’indagine sulle metamorfosi di questo brano-manifesto – dalle mondine della Pianura Padana alla prima versione registrata di Yves Montand nell’EP “Souvenir italiano” del 1962, passando per il dono dell’LP del Nuovo Canzoniere Italiano fatto nel 1966 ad Hanoi (Vietnam del Nord) da Enrico Berlinguer a Ho Chi Minh – diventa anche l’occasione – come annota l’autore – di «indagare il nostro stesso riconoscersi (o non riconoscersi) in una comune identità di sinistra e antifascista. Se ancora oggi possiamo immaginare la canzone come strumento di lotta e veicolo di posizioni di dissenso, è anche merito (o colpa) dei tre oggetti culturali che rispondono al nome di “Bella ciao”: un disco, uno spettacolo, una canzone». (© Gazzetta di Parma)