Keith Jarrett. Il genio dice basta: “Ora suono solo nei miei sogni”

Un uomo che respira seduto in fondo a una piscina, una donna in strada che sente una moneta cadere dalle mani di un uomo in una stanza a un piano indefinito di un grattacielo, un anziano atleta che fa la croce agli anelli, un bambino di qualche mese che suona un pianoforte a coda. Era probabilmente l’inverno del 2004, in televisione passava questo spot di una nota marca tedesca di automobili. Ad accompagnare la sequenza di immagini della durata di circa trenta secondi il commento sonoro rappresentato da un ambiguo montaggio delle prime note di “The Köln Concert”, ormai storica registrazione di un’improvvisazione al piano solo eseguita all’Opera di Colonia nel 1975 e pubblicata nello stesso anno dall’etichetta ECM di Manfred Eicher.

Considerato tra i più celebri album di jazz nella dimensione solistica, con milioni di copie vendute, questo disco rappresenta una delle tappe fondamentali della carriera del pianista americano Keith Jarrett – nato l’8 maggio 1945 ad Allentown in Pennsylvania – ritornato sulle prime pagine dei giornali nei giorni scorsi per la sua intervista pubblicata da “The New York Times”, dove ha rivelato “i problemi di salute che rendono improbabile che si esibirà mai più in pubblico”.

Al giornalista e critico musicale Nate Chinen l’artista statunitense ha confessato di aver subito un ictus alla fine di febbraio 2018, seguito da un altro nel maggio successivo: “Sono rimasto paralizzato, il mio lato sinistro è tutt’ora parzialmente paralizzato, posso camminare con il bastone, ma c’è voluto oltre un anno”. Alcuni concerti, dopo la sua ultima apparizione nel 2017 alla Carnegie Hall, erano stati allora cancellati, e ora possiamo immaginarne il motivo. Sempre a Chinen, Jarrett rivela che “posso suonare solo con la mano destra, e la cosa non mi convince più. Non so quale sarà il mio futuro, ora come ora non credo di sentirmi un pianista”.

Recentemente proprio la ECM ha presentato la registrazione del suo concerto a Budapest del 2016, ennesima tappa di una carriera iniziata attraverso l’incontro con il pianoforte all’età di tre anni per poi sostenere il suo primo recital da solista a sette. Tra le diverse esperienza della prima stagione del percorso artistico di Jarrett, di particolare importanza è l’incontro con Art Blakey con il quale ha iniziato a collaborare a partire dal 1965. Si è unito al quartetto del sassofonista Charles Lloyd nel 1966 ed è rimasto con Lloyd per tre anni. Jarrett ha realizzato i suoi primi album da solista in questo periodo: “Life Between the Exit Signs” (1967) e “Restoration Ruin “(1968).

Un passaggio importante del suo tracciato professionale avviene nel 1969, quando il pianista inizia a collaborare con Miles Davis per diversi concerti e album. Sebbene Jarrett non apprezzasse particolarmente gli strumenti elettronici, era disposto a scendere a compromessi per avere la possibilità di lavorare con Davis, la cui formazione annoverava anche altri importanti tastieristi di ambito jazz-fusion, come Chick Corea e Herbie Hancock.

Jarrett ha guidato inoltre un suo gruppo negli anni ’70, esibendosi con il sassofonista Dewey Redman, il bassista Charlie Haden e il batterista Paul Motian, collaborando anche con il sassofonista norvegese Jan Garbarek. Durante questo periodo ha sperimentato una vasta gamma di modalità espressive, sviluppando il suo virtuosismo pianistico anche nella dimensione solistica. In questo quadro si colloca, appunto, lo stesso “The Köln Concert”.

Dagli anni ’80 Jarrett si è dedicato anche al repertorio classico, affrontando opere di compositori come Johann Sebastian Bach, Domenico Scarlatti, Ludwig van Beethoven, Georg Friedrich Händel e Dmitrij Shostakovich. Nel 1983 ha formato lo Standard Trio, formazione particolarmente apprezzata e composta, oltre al pianista, dal bassista Gary Peacock (scomparso lo scorso 4 settembre) e il batterista Jack DeJohnette. Con questa formazione Jarrett ha pubblicato diversi album di notevole interesse, tra cui “Whisper Not” (2000) e “Inside Out” (2001), fino ad arrivare al più recente “After The Fall”, pubblicato nel 2018 sempre per la casa discografia ECM.

La confessione pubblica di Jarrett ha stimolato naturalmente molti commenti, soprattutto per alcuni passaggi dell’intervista dove il pianista rivela aspetti più personali quali, tra gli altri, quello di “suonare nei sogni”. Al di là della retorica di circostanza, rimane indubbio che Jarrett abbia rappresentato una delle figure di pianista jazz – e, se vogliamo, di pianista contemporaneo a tutto tondo – più rilevanti degli ultimi cinquant’anni. Spesso la sua visione interpretativa – in relazione soprattutto alla mole di pubblicazioni discografiche all’attivo e a certe sue idiosincrasie – ha suscitato dubbi e perplessità, a volte anche condivisibili, ma la sua rimane comunque una figura di artista di riferimento nel panorama contemporaneo.

Inoltre, dopo queste dichiarazioni, emerge anche la sua figura di uomo la cui dignità non dipende dall’essere in grado di suonare oggi come in passato, ma dal saper riconoscere i limiti di una condizione che, in questo momento della sua vita, lo pone di fronte ad altre sfide.

Oltre a una salute sempre più ritemprata, oggi possiamo solo augurare a Keith Jarrett, fino a che continuerà a suonare in sogno, che abbia idealmente la tenerezza nelle mani del bimbo di quello spot di qualche anno fa, con la stessa miscela di ispirata naturalezza evocata dalla sua musica sparpagliata in quei trenta secondi di pubblicità. Del resto, lo slogan che chiudeva quello spot recitava: “adesso tutto può succedere”. (© Gazzetta di Parma)