Perché Bob Dylan

Richard F. Thomas, “Perché Bob Dylan”, EDT 2021, 320 pp.

Quando nel 2016 a Bob Dylan viene assegnato il premio Nobel per la letteratura si accende il dibattito sull’opportunità o meno di considerare l’opera del cantautore americano, appunto, “vera letteratura”. L’anno successivo appare “Why Bob Dylan Matters”, libro dove Richard F. Thomas, studioso inglese cresciuto in Nuova Zelanda per poi divenire docente di Letteratura classica alla Harvard University, spiega perché la figura e l’opera del cantautore americano siano, in effetti, così importanti.

Un volume divenuto ormai un classico e che la casa editrice EDT ha pubblicato con il titolo “Perché Bob Dylan”, nella traduzione italiana di Elena Cantoni e Paolo Giovanazzi (mentre la traduzione dei testi delle canzoni è quella di Alessandro Carrera) in questo 2021 che vede l’artista nato Robert Allen Zimmerman compiere ottant’anni.

Un traguardo importante per un uomo che, partito da Duluth in Minnesota, è divenuto cantautore, compositore, musicista e poeta tra i più influenti. Un cammino che Thomas ripercorre miscelando ricordi personali e analisi dell’opera dylaniana, della quale illustra l’evoluzione musicale attraverso i 32 album che vanno da “Bob Dylan” del ’62 a “Triplicate” del ’17 (“Rough and Rowdy Ways” è del ’20), evidenziando le diverse stagioni attraversate dall’artista non senza incomprensioni da parte del suo pubblico.

Ma, al di là delle radici affondate nel folk e nel rock americano, lo studioso inglese evidenzia i profondi legami che avvicinano Bob Dylan ai grandi autori della classicità, da Virgilio a Ovidio. Oltre a rintracciare citazioni letterali nascoste nei suoi testi, Thomas mostra come la ricerca artistica di Dylan sia intrisa di valori quali la pietas, la poesia e la sua intonazione, il modo di pensare all’umanità.

Anche il volersi smarcare dall’etichetta di “cantore di protesta” va in questa direzione. Thomas ricorda per esempio come, a dispetto del suo ruolo storico, una canzone come “Blowin’ in the Wind” sia nata con altri intenti. Fin dalla prima esecuzione ufficiale, nell’aprile ’62, Dylan ha dichiarato: “La prossima non è una canzone di protesta […], perché io non scrivo canzoni di protesta”. «Troppo tardi – scrive Thomas –. Per citare il poeta latino Orazio “una parola detta prende il volo, senza rimedio”». Proprio come una risposta che vola via nel vento. (© Gazzetta di Parma)