Addio a Chick Corea

Il 9 febbraio, all’età di 79 anni è morto Chick Corea, uno dei pianisti jazz più versatili degli ultimi cinquant’anni. La scomparsa dell’artista è avvenuta a causa di una rara forma di cancro scoperta solo recentemente, come ha riportato il portavoce della famiglia Dan Muse. Nella nota che ha diffuso l’altro ieri la notizia della sua morte si legge: «tramite il suo lavoro e i decenni trascorsi in tour per il mondo, ha toccato e ispirato la vita di milioni di persone».

In effetti l’influenza esercitata da parte di Chick Corea sul mondo del jazz – ma potremmo dire della musica in generale – ha lasciato segni tangibili sia attraverso la sua attività solistica, sia grazie alla partecipazione ai tanti progetti musicali che lo hanno portato a collaborare con altri grandi artisti della sua generazione, e non solo. Un percorso che ha permesso a questo artista di collezionare 67 nomination ai Grammy Awards, aggiudicandosi il prestigioso riconoscimento in ben 23 occasioni.

Armando Anthony Corea è nato il 12 giugno 1941 a Chelsea, Massachusetts. Suo padre, un trombettista Dixieland, lo ha introdotto alla musica in tenera età, avviandolo allo studio del pianoforte a partire dai quattro anni. Con il soprannome “Chick”, derivato dall’abitudine di una zia di chiamarlo “Cheeky”, a circa sedici anni vive la sua prima importate esperienza professionale, lavorando a Boston con Cab Calloway, cantante scomparso nel 1994 e tra i più popolari showman già negli anni ’30 e che tutti ricordiamo al fianco di John Belushi e Dan Aykroyd nel film “The Blues Brothers” di John Landis.

Dopo un breve periodo di studio tra la Columbia University e la Juilliard School di New York, Corea ha intrapreso la carriera nell’ambito jazz collaborando tra l’altro con i percussionisti Mongo Santamaria e Willie Bobo, una collaborazione grazie alla quale ha sviluppato un costante interesse per i ritmi complessi del mondo musicale cubano e latino. In seguito ha lavorato con personalità quali Stan Getz e Herbie Mann, sviluppando nel corso della sua crescita artistica, come ha sottolineato Ted Gioia, un «approccio al jazz tradizionale che vanta un suono di pianoforte pulito, nettamente articolato, un mix di armonie modali e impressioniste unito ad una sensazione di ideale guida ritmica». Tra i protagonisti del cosiddetto “Quintetto perduto” di Miles Davis, supergruppo creato dal trombettista alla fine degli anni Sessanta per esplorare i nuovi territori espressivi attraverso un’avventura militante in cui, Corea si trova così al fianco di Wayne Shorter (sax), Dave Holland (basso) e Jack DeJohnette (batteria).

Nel 1972 il pianista lascia Davis per formare Return to Forever, uno dei gruppi di fusion jazz più popolari e influenti del decennio. In momenti diversi, tra i musicisti che hanno collaborato a questo progetto troviamo il bassista Stanley Clarke, il batterista Lenny White, il chitarrista Al Di Meola e la cantante Flora Purim, sviluppando una personale miscela di rock, jazz e musica brasiliana. Proprio una registrazione di questa formazione del 1975, “No Mystery”, ha regalato Corea il suo primo Grammy. In Italia Corea è stato omaggiato nel 1993 da Pino Daniele che lo ha coinvolto in una nuova versione di “Sicily”, brano inciso negli anni Ottanta da Corea che il cantautore partenopeo ha voluto comprendere nel suo album “Che Dio ti benedica”, tra l’altro premiato con la Targa Tenco. Altra significativa collaborazione è stata quella maturata con Stefano Bollani, con il quale aveva inciso l’album “Orvieto” (ECM 2011), frutto di un’esibizione in duo a Umbria Jazz Winter Festival del 2010.

Un percorso artistico intenso e variegato quello vissuto da Corea, rispecchiato emblematicamente dal suo album più recente, il doppio “Chick Corea: Plays” (Concord Jazz 2020), che contiene una raccolta tipicamente eclettica di brani che miscelano generi ed epoche differenti, proponendo composizioni di Mozart, Scarlatti, Antonio Carlos Jobim, Thelonious Monk, oltre a brani originali dello stesso Corea.

Un viaggio tra vita e musica percorso con intensità e passione, caratteri ribaditi anche nel messaggio che lo stesso pianista ha lasciato ai suoi fan e ai suoi amici musicisti: «Voglio ringraziare tutti coloro che durante il mio viaggio mi hanno aiutato. Mi auguro che coloro che hanno sentore di poter scrivere, suonare e fare performance lo facciano. Se non lo fate per voi stessi almeno fatelo per noi». (© Gazzetta di Parma)