Miles Davis, il Quintetto Perduto e altre rivoluzioni

Bob Gluck, “Miles Davis, il Quintetto Perduto e altre rivoluzioni”, Quodlibet 2020, pp. 336.

Apparso in origine nel 2016 grazie alla University of Chicago Press con il titolo “The Miles Davis Lost Quintet and Other Revolutionary Ensembles”, questo volume, da poco pubblicato in Italia dalla casa editrice Quodlibet quale terzo atto della collana “Chorus” diretta da Fabio Ferretti e Claudio Sessa, offre l’accattivante indagine su alcune tra le formazioni strumentali più sperimentali di ambito jazzistico proposta da Bob Gluck. Pianista, compositore, storico del jazz, rabbino e professore di musica alla State University of New York, Gluck offre in queste pagine un denso excursus attraverso i rivoli stilistico-sperimentali disegnati da alcuni ensemble e relativi musicisti attivi tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo.

Come evidenza fin da subito lo stesso Sessa nelle prime righe della sua prefazione, «questo non è un libro su Miles Davis. Di libri sul grande trombettista ce ne sono parecchi, anche in italiano, e soddisfano quasi tutte le esigenze dei suoi moltissimi ammiratori. Ma questo non è un libro su Miles Davis. Questo è un libro che narra come una specifica, magnifica, rivoluzionaria stagione musicale di Miles Davis sia stata inestricabilmente connessa con il periodo storico nel quale era immersa».

In effetti, anche se alla fine del suo intervento Sessa ribalta significativamente la sua premessa, più che l’artista protagonista di questa narrazione saggistica, Davis appare qui come una vera e propria entità atta a influenzare la scena musicale, una sorta di feconda presenza disseminata tra quei rivoli ai quali abbiamo accennato poco sopra, un motore propulsivo ineffabilmente e costantemente presente. Una scena, quella disegnata dall’autore, abitata da musicisti quali Wayne Shorter, Chick Corea, Dave Holland e Jack DeJohnette, vale a dire i componenti del quintetto che lo stesso Davis indirizza da un impianto più squisitamente jazz verso suggestioni timbriche funky e, se vogliamo, rock. Una formazione che non entrerà mai in studio d’incisione, e per questo chiamata dalla critica “il quintetto perduto”.

Ma il percorso proposto in queste pagine si spinge ad indagare i caratteri espressi da altre formazioni generate da quel nucleo primigenio: Corea e Holland escono dal quintetto per formare il gruppo Circle con il batterista Barry Altschul e il sassofonista Anthony Braxton; lo stesso Braxton e DeJohnette sono membri di un’associazione di sperimentatori da cui nasce un altro trio denominato Revolutionary Ensemble.

Un percorso di lettura articolato in otto capitoli dall’impianto originale e coinvolgente, una prospettiva di approfondimento che termina con l’ultima tappa titolata “I figli di Ornette Coleman. Confronti e contrasti dentro e fuori l’economia del jazz”, emblematica prospettiva per uno sguardo approfondito che lo stesso autore ben sintetizza al termine della sua introduzione: «In effetti, tutta “questa musica è nuova musica”, musica che attinge il suo potere espressivo dall’eredità di Ornette Coleman, fra gli altri.

Mentre gli autori precedenti hanno generalmente trattato i gruppi elettrici di Davis dal punto di vista della narrativa biografica, io spero di offrire uno sguardo ravvicinato e comparativo alla musica in sé e alle relazioni musicali fra gli esecutori. In tal modo l’ascoltatore attento potrà scoprire profonde interconnessioni, spesso occultate, che disvelano la radicale originalità di questo importante complesso di lavori». (© Gazzetta di Parma)